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L’invenzione della stampa a caratteri mobili è attribuita al tedesco Johann Gutenberg, pur essendo probabile che già i cinesi utilizzassero in precedenza tecniche simili e che, contemporaneamente a Gutenberg, anche stampatori tedeschi, boemi, italiani e olandesi stessero lavorando nella medesima direzione.
In ogni caso, Gutenberg, in società con il banchiere Johann Fust e con l’aiuto di Peter Schöffer, stampa tra il 1448 e il 1454 a Magonza il primo libro con questa tecnica. Si tratta della celebre Bibbia a 42 linee che viene messa in vendita a Francoforte sul Meno nel 1455.
La tecnica di Gutenberg consisteva nell’allineare piccoli prismi metallici di sezione variabile – su ciascuno dei quali compare in rilievo a rovescio un carattere – assemblandoli in linee e unire queste ultime creando le pagine complete di testo. Ogni matrice relativa ad una pagina viene quindi inchiostrata e successivamente stampata con un torchio. Inizialmente i tipi vengono tenuti insieme da fasce.
Grazie alla mobilità dei collaboratori di Gutenberg e Schöffer, nell’arco di circa un decennio la nuova tecnica si diffonde nelle varie città europee. Il primo libro stampato in Italia di cui si abbia notizia fu tirato nel monastero di Subiaco. Qui si registra nel 1464 la presenza di Arnold Pannartz e Konrad Sweynheim, i quali, successivamente, si trasferiscono a Roma. Nella biblioteca di storia patria a Napoli è conservato uno dei primi tre libri stampati in Italia, proprio a Subiaco. In Italia la nuova tecnica di stampa si diffonde rapidamente. In particolare, a Venezia i primi stampatori compaiono nel 1469 e portano la città a diventare il più importante centro europeo del libro a stampa; qui nella prima metà del XVI secolo vengono prodotti quasi la metà dei libri stampati in Italia.
È proprio a Venezia che nel 1501 Aldo Manuzio pubblica i suoi enchiridia, classici latini senza note e senza commento, realizzati con caratteri leggermente piegati a destra, disegnati dal bolognese Francesco Griffo: è la nascita del corsivo. Nel 1463 il tedesco Johannes Numeister, allievo di Gutenberg, fondò a Foligno una tipografia nel 1470.
Nel 1472, sempre a Foligno, venne stampato da Johannes Numeister e dal folignate Evangelista Angelini il primo libro in lingua italiana: La Divina Commedia. Nel 1481 Adamo da Rottweil, un altro allievo e collaboratore di Johann Gutenberg, ottenne il permesso di esercitare l’attività di stampatore all’Aquila.
Se i primi incunaboli cercano di presentarsi, per forma dei caratteri, disposizione generale e uso di abbreviazioni, proprio come i manoscritti, nel XVI secolo l’editoria comincia ad essere un’industria matura e si sforza di affrancarsi dall’eredità del passato. Così le righe si spaziano, i caratteri si riducono di dimensioni, le abbreviazioni cadono in disuso e, in generale, la presentazione dei testi inizia a mirare quindi alla leggibilità.
Così, nel Settecento, John Baskerville, François Ambroise Didot e l’italiano Giambattista Bodoni, che lavora alla stamperia ducale di Parma, introducono nuovi caratteri ispirati a rigorose proporzioni geometriche.
La produzione industriale della carta inizia alla metà del secolo. Due invenzioni italiane che sicuramente hanno rivoluzionato il mondo dell’editoria permettendo di stampare velocemente e a colori sono la rotativa e la stampa a quattro colori detta quadricromia ciano-magenta. Tali invenzioni si devono a Auguste Hippolyte Marinoni che prima scoprì che combinando azzurro – o ciano – magenta e giallo si può ottenere qualsiasi tinta e nel 1866 inventò la rotativa, una macchina in grado di stampare migliaia di copie all’ora su un nastro continuo di carta bianca.
Ogni elemento della macchina sovrappone il suo colore agli altri così alla fine l’immagine stampata ha tutte le tinte e le sfumature desiderate. I primi esperimenti di composizione meccanica portano nel 1886 alla realizzazione, da parte di Ottmar Mergenthaler, della Linotype e successivamente nel 1889 alla Monotype realizzata da Tolbert Lanston, che inventa un procedimento basato sulla fusione non delle righe ma dei singoli caratteri.
La parte meccanica delle tecnologie della stampa subirà poi solo piccoli cambiamenti, fino all’introduzione della stampa Offset nel 1960. Sempre alla fine dell’Ottocento diventa standard l’utilizzo di carta da cellulosa.
La crescita degli strumenti informatici ha comportato profondi cambiamenti anche alla tipografia e porta alla nascita, negli anni settanta, della cosiddetta editoria elettronica. Le grandi apparecchiature per la stampa industriale vengono dotate di sistemi elettronici di controllo.
Per la composizione delle pagine vengono resi disponibili sistemi che consentono di redigere da tastiera documenti che vengono automaticamente organizzati in linee e pagine. Con la diffusione del personal computer negli anni ottanta cresce fino a diventare prevalente il numero degli autori che si occupano anche dei dettagli dell’impaginazione.
A partire dal 1985, con l’introduzione dell’Apple Macintosh e di programmi come PageMaker nasce il Desktop Publishing, destinato a soppiantare tutti i sistemi fino ad allora impiegati per la preparazione dei documenti da stampare.
Intorno al 1990, con la disponibilità delle piccole stampanti da tavolo che si servono dei dispositivi ad aghi, a laser e a getto di inchiostro, si diffonde prima negli uffici e poi nelle abitazioni, la pratica della stampa personale. Con competenze relativamente contenute i singoli utenti possono scrivere, comporre e stampare relazioni, lettere, testi a tiratura limitata. Nella seconda parte degli anni novanta, con la disponibilità della Rete Globale, i documenti prodotti elettronicamente possono essere distribuiti senza sostanziali limitazioni di distanza fra autore e lettori.
lo sviluppo tecnologico della tipografia compie notevoli progressi. All’inizio del secolo la pressa in legno, rimasta virtualmente immutata dai tempi di Gutenberg, viene sostituita dalla pressa con struttura di metallo e viene introdotta la stereotipia, cioè il procedimento di riproduzione della forma della pagina già composta mediante calco su lastra metallica attraverso una pressione piana. Nel 1796, Alois Senefelder introduce la litografia.
Nel 1798 Louis Nicolas Robert, alle dipendenze della cartiera degli stampatori parigini Didot, costruisce la “macchina continua”, con la quale diviene possibile fabbricare un foglio continuo di carta e incrementare in questo modo la velocità di produzione.
Nello stesso periodo, l’aumento della richiesta porta all’introduzione della carta a base di pasta di legno, in alternativa a quella prodotta dagli stracci, più costosi e difficili da reperire. La nuova carta trattata chimicamente risulta però poco durevole: nel corso di pochi decenni tende ad ingiallire e a sfaldarsi e molti testi stampati dall’inizio del XIX secolo minacciano di ridursi in pezzi illeggibili.
La prima pressa piano-cilindrica a vapore è realizzata nel 1814 dai tedeschi Friedrich König e Andreas Bauer per il Times di Londra; questa tecnica permette di aumentare la capacità di stampa da 300 a 1100 copie all’ora. Sempre al Times, viene introdotta pochi anni dopo, nel 1828, la macchina a quattro cilindri verticali realizzata da Augustus Applegath ed E. Cowper, in grado di produrre fino a 5.000 copie all’ora.
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Due invenzioni italiane che sicuramente hanno rivoluzionato il mondo dell’editoria permettendo di stampare velocemente e a colori sono la rotativa e la stampa a quattro colori detta quadricromia ciano-magenta. Tali invenzioni si devono a Auguste Hippolyte Marinoni che prima scoprì che combinando azzurro – o ciano – magenta e giallo si può ottenere qualsiasi tinta e nel 1866 inventò la rotativa, una macchina in grado di stampare migliaia di copie all’ora su un nastro continuo di carta bianca.
Ogni elemento della macchina sovrappone il suo colore agli altri così alla fine l’immagine stampata ha tutte le tinte e le sfumature desiderate. I primi esperimenti di composizione meccanica portano nel 1886 alla realizzazione, da parte di Ottmar Mergenthaler, della Linotype e successivamente nel 1889 alla Monotype realizzata da Tolbert Lanston, che inventa un procedimento basato sulla fusione non delle righe ma dei singoli caratteri.
La parte meccanica delle tecnologie della stampa subirà poi solo piccoli cambiamenti, fino all’introduzione della stampa Offset nel 1960. Sempre alla fine dell’Ottocento diventa standard l’utilizzo di carta da cellulosa.
La crescita degli strumenti informatici ha comportato profondi cambiamenti anche alla tipografia e porta alla nascita, negli anni settanta, della cosiddetta editoria elettronica. Le grandi apparecchiature per la stampa industriale vengono dotate di sistemi elettronici di controllo. Per la composizione delle pagine vengono resi disponibili sistemi che consentono di redigere da tastiera documenti che vengono automaticamente organizzati in linee e pagine.
Con la diffusione del personal computer negli anni ottanta cresce fino a diventare prevalente il numero degli autori che si occupano anche dei dettagli dell’impaginazione.
A partire dal 1985, con l’introduzione dell’Apple Macintosh e di programmi come PageMaker nasce il Desktop Publishing, destinato a soppiantare tutti i sistemi fino ad allora impiegati per la preparazione dei documenti da stampare.
Intorno al 1990, con la disponibilità delle piccole stampanti da tavolo che si servono dei dispositivi ad aghi, a laser e a getto di inchiostro, si diffonde prima negli uffici e poi nelle abitazioni, la pratica della stampa personale. Con competenze relativamente contenute i singoli utenti possono scrivere, comporre e stampare relazioni, lettere, testi a tiratura limitata.
Nella seconda parte degli anni novanta, con la disponibilità della Rete Globale, i documenti prodotti elettronicamente possono essere distribuiti senza sostanziali limitazioni di distanza fra autore e lettori.